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Disfagia

Piano nutrizionale domiciliare del paziente disfagico

La gestione della dieta per os domiciliare deve garantire una nutrizione adeguata ai fabbisogni e svolgersi anche in completa sicurezza.

Definire un “piano dietetico” quotidiano è fondamentale in quanto le necessità dei pazienti disfagici e il grado di disfagia possono modificarsi nel tempo. La disfagia, spesso presente nelle persone con patologie neurologiche, si manifesta comunemente nel 30-45% dei pazienti colpiti da ictus, oltre che da Alzheimer, morbo di Parkinson, malattia dei motoneuroni e sclerosi multipla. Si tratta di un disturbo particolarmente diffuso tra i soggetti anziani over 65, sia come conseguenza della patologia che li ha colpiti sia a causa dell’indebolimento dei muscoli della mascella e della perdita di denti, senza tralasciare la ricaduta che può avere la somministrazione di alcuni farmaci sul meccanismo della deglutizione.1
La disfagia rappresenta il fattore con l’impatto più elevato sull’alimentazione e sullo stato nutrizionale del paziente che, oltre ad indurre malnutrizione, può essere responsabile sia di aspirazione silente, con rischio elevato di insorgenza di polmoniti ab ingestis, sia di morte improvvisa per ostruzione delle vie aeree con conseguente soffocamento.1,2

Indice

 

La sfida nutrizionale nel paziente anziano


La nutrizione rappresenta un importante fattore modulatorio di salute e benessere generale negli anziani, tanto che un inadeguato introito alimentare può contribuire alla progressione di numerose malattie, oltre a costituire uno dei principali fattori eziologici di sarcopenia e fragilità

Mangiare in modo insufficiente e male, soprattutto in presenza di numerose comorbidità e patologie con effetti catabolici, non può che condurre rapidamente a stati di malnutrizione con outcome scarsi (aumento dei casi d’infezione e ulcere da decubito, dei ricoveri lungodegenti, della durata della convalescenza dopo malattia acuta e del tasso di mortalità). 3

Nelle persone anziane una notevole perdita involontaria di peso (>5% in 6 mesi o >10% oltre i 6 mesi), una massa corporea notevolmente ridotta (BMI <20 Kg/m2) o un deficit di massa muscolare con gravi segni di malnutrizione impongono di accertarne le cause sottostanti.

Per la diagnosi di malnutrizione, il recente approccio di consenso globale (GLIM) sostiene la combinazione di:

  • almeno un criterio fenotipico: perdita di peso non volontaria, basso BMI o ridotta massa muscolare
  • un criterio di eziologico: riduzione dell'assunzione di cibo/malassorbimento o malattia grave con infiammazione.3 

Così un anziano è a rischio di malnutrizione se l’introito alimentare per via orale è notevolmente ridotto (per esempio al di sotto del 50% del fabbisogno per più di 3 giorni) o se sono presenti eventuali fattori di rischio che possono ridurre l'assunzione alimentare o aumentare le richieste (per malattia acuta, problemi neuropsicologici, immobilità, problemi di masticazione, problemi di deglutizione). 
L'incidenza di malnutrizione aumenta in genere con il deterioramento dello stato di salute con tassi di prevalenza riportati che sono spesso inferiori al 10% nelle persone anziane indipendenti e autonome e aumentano di due terzi in pazienti più anziani istituzionalizzati in terapia e riabilitazione. 

Oltre alla malnutrizione, nelle persone anziane si registra anche un aumentato rischio di disidratazione per i motivi più diversi, con gravi conseguenze sulla loro salute.

 

Piano dietetico di nutrizione per via orale


Questa modalità di alimentazione costituisce, per il paziente disfagico, un rilevante obiettivo del percorso riabilitativo con un considerevole impatto sull’autostima e sulla considerazione delle proprie capacità di recupero, ma anche una fonte (soprattutto all’inizio del trattamento) di ansia: paura di soffocare o di far notare la propria difficoltà mangiando in pubblico, ecc. 

Se da una parte la gestione dietetica per os deve garantire il mantenimento di una nutrizione adeguata ai fabbisogni, dall’altra deve anche svolgersi in completa sicurezza, prevenendo il passaggio di alimenti nelle vie aeree.

Poiché le necessità dei pazienti disfagici variano largamente e il livello di gravità (o fase) della disfagia può modificarsi nel tempo, è utile definire un “piano dietetico” al fine di evitare eventuali errori di somministrazione:

Disfagia fase 1 
Difficoltà di gestione orale del bolo e della sua masticazione che richiede un tipo di alimentazione con consistenza omogenea ed esclusivamente semisolida.

Disfagia fase 2
Iniziale capacità del paziente di gestire la fase masticatoria che richiede un tipo di alimentazione caratterizzato da cibi di consistenza morbida (primo piatto ben cotto) e semisolida (secondo piatto).

Disfagia fase 3
Il quadro clinico è sovrapponibile alla precedente fase 2, ma per favorire l’appetibilità degli alimenti la dieta sarà caratterizzata da cibi di consistenza semisolida (primo piatto) e solido-morbida (secondo piatto e contorno).

Disfagia fase 4
Efficace capacità masticatoria del paziente, che sta superando il quadro clinico di disfagia, pertanto l’alimentazione sarà caratterizzata da cibi di consistenza solido-morbida. 

Dieta comune senza cibi a doppia consistenza
È caratterizzata da un quadro clinico nel quale il paziente presenta un’efficace capacità masticatoria, ma ancora una difficile gestione orale degli alimenti a doppia consistenza che pertanto dovranno essere eliminati dalla dieta. 
 

DISFAGIA - PIANO DIETETICO PROGRESSIVO

Fase disfagia Caratteristiche Consistenza consigliata

FASE 1

Difficoltà di gestione orale del bolo e della sua masticazione Omogenea ed esclusivamente semisolida (purea densa)

FASE 2

Iniziale capacità del paziente di gestire la fase masticatoria

Morbida (primo piatto ben cotto) e semisolida (secondo piatto)

FASE 3

Analoghe alla fase 2 Semisolida (primo piatto) e solido-morbida (secondo piatto e contorno)

FASE 4

Efficace capacità masticatoria, il paziente sta superando il quadro clinico di disfagia Cibi di consistenza solido-morbida

DIETA COMUNE CON ALCUNE ESCLUSIONI

Efficace capacità masticatoria, ma ancora difficile gestione orale di alcuni alimenti Escludere gli alimenti a doppia consistenza.

 

Nei casi di disfagia grave, la dieta iniziale prevede esclusivamente alimenti frullati con una consistenza generale di purea densa e coesiva (omogeneizzazione); con la riduzione dei disturbi della deglutizione, si potrà progressivamente passare a diete che riducono i problemi di preparazione del bolo.
È importante proporre al paziente disfagico un’ampia varietà di cibi, presentati in maniera appetibile, soprattutto per garantirne l’accettabilità ed evitare l’eventuale riduzione delle quantità di cibo ingerite, con la conseguente non copertura dei fabbisogni nutrizionali e calorici giornalieri e il rischio di insorgenza di una condizione di malnutrizione proteico-energetica.


È raccomandata la somministrazione di piccoli pasti frequenti, almeno 5 al giorno: 

  1. colazione 
  2. spuntino 
  3. pranzo 
  4. spuntino 
  5. cena.


Per vedere o stampare un’esemplificazione delle diete settimanali per le 4 fasi della disfagia

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Consigli da fornire al caregiver durante il pasto

Il caregiver, familiare o altra persona che si prende cura del paziente a domicilio, deve conoscere e adottare le seguenti modalità di somministrazione di alimenti e farmaci, nonché di assistenza al paziente disfagico durante il pasto:

  1. Posizione eretta. Prima di iniziare a mangiare, il paziente dev’essere correttamente posizionato. La posizione migliore per alimentarsi è quella seduta. Il paziente deve essere seduto diritto, con un comodo sostegno per gli avambracci e i piedi appoggiati a terra. Se tale posizione non può essere assunta, è necessario posizionare il paziente a letto, il tronco alzato il più possibile (circa 80°), anche utilizzando più di un cuscino da mettere come appoggio alla schiena.

  2. Ambiente tranquillo. L’ambiente dove viene consumato il pasto deve essere tranquillo, silenzioso e ben illuminato.

  3. Durata del pasto. Il paziente deve mangiare lentamente, rispettando per ogni singolo boccone il volume consigliato, senza introdurne un secondo se quello precedente non è stato completamente deglutito (attenzione ai residui di cibo che permangono in bocca). Il pasto non può, però, durare in media più di 45 minuti, altrimenti stanchezza e distraibilità del paziente aumenterebbero i rischi d’inalazione. Compito di chi assiste il paziente durante il pasto, sarà anche quello di controllare lo stato d’attenzione ed eventualmente decidere di sospendere il pasto ai primi segni di stanchezza.

  4. Periodici colpi di tosse. Ogni tanto far eseguire colpi di tosse per controllare la presenza di cibo in faringe. 

  5. Modo di imboccare. Elemento comune a tutte le posture è evitare che, durante la somministrazione dell’alimento, il paziente cambi posizione alzando per esempio la testa verso l’alto. Per evitare che ciò accada, quando necessario, è importante imboccare correttamente il paziente: mettersi davanti a lui e porgere il boccone in modo che la testa venga leggermente piegata verso il basso.

  6. Evitare distrazioni. Il paziente non deve parlare durante il pasto, né guardare la televisione o essere distratto in alcun modo.

  7. I liquidi. La somministrazione di liquidi, quando è stata consentita dal medico specialista o dal logopedista, può avvenire anche con l’ausilio di un cucchiaio, ma deve necessariamente essere preceduta dalla rimozione di eventuali residui alimentari dalla bocca. 

  8. Non utilizzare MAI liquidi per mandare giù il cibo, se il paziente non ha dimostrato un’adeguata protezione delle vie respiratorie

  9. Cosa fare a fine pasto. Per almeno 15 minuti dopo il pasto il paziente deve rimanere seduto; successivamente è indispensabile provvedere a una corretta igiene orale per prevenire l’aspirazione di particelle di cibo che possono essere rimaste in bocca. Non potendo utilizzare dentifrici e collutori per il rischio di ingestione o, peggio ancora, di inalazione, può essere utilizzata in sostituzione una garza sterile o uno spazzolino per bambini a setole morbide, imbevuti con piccole quantità di bicarbonato di sodio. Pulire sempre anche la lingua.

  10. Assunzione dei farmaci. Se devono essere somministrate delle formulazioni solide (compresse o capsule), chiedere preventivamente consiglio su come rendere il farmaco orale omogeneo e facilmente deglutibile. Non devono essere polverizzate le compresse, né aperte le capsule senza prima aver avuto l'autorizzazione da parte di un medico o altro operatore sanitario competente, ne potrebbe risentire l'efficacia e la sicurezza del farmaco stesso.

 

Bibliografia 

  1. Gaita A et al. Il paziente disfagico: manuale per familiari e caregiver. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2008. (Rapporti ISTISAN 08/38 Free Full Text).
  2. Burgos R et al. ESPEN guideline clinical nutrition in neurology. Clinical Nutrition. 2018;37(1):354-96. (Free Full Text).
  3. Volkert D et al. ESPEN guideline on clinical nutrition and hydration in geriatrics. Clinical Nutrition. 2018;1-38 (Free full Text).